
Nello studio ogni partecipante osservava un monitor su cui apparivano le immagini di diversi oggetti comuni, come una tazza o una penna. Tuttavia, appena prima di ciascuna immagine di oggetti appariva per un tempo brevissimo, in modo che il soggetto non ne prendesse coscienza, anche un viso con un'espressione neutra, arrabbiata o impaurita. In questo modo l'immagine subliminale associava a ogni oggetto una coloritura emotiva. Alla fine dell'esperimento, veniva chiesto alle persone quanto desiderassero i diversi oggetti.
In una seconda versione dell'esperimento i partecipanti dovevano stringere una manopola per ottenere l'oggetto desiderato, e chi stringeva più forte aveva l'opportunità di ottenerlo.
E' risultato che le persone mettevano il loro maggiore impegno per ottenere gli oggetti associati a facce arrabbiate.
"La cosa ha senso, se la pensiamo in termini di evoluzione della motivazione umana", osserva Aarts: se, per esempio, nell'ambiente c'è scarsità di cibo, le persone che associano il cibo alla rabbia e la convertono in una risposta di attacco per ottenerlo, è più facile che sopravvivano. Se il cibo non produce rabbia o aggressività nel proprio sistema, si può morire d'inedia e perdere la battaglia.
I partecipanti non avevano idea del fatto che l'oggetto del loro desiderio avesse a che fare con la rabbia: "Quando si chiedeva perché si fossero impegnati per ottenerlo, affermavano semplicemente: 'Perché mi piace'. E questo ci dice quanto poco sappiamo delle nostre stesse motivazioni", ha concluso Aarts.
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