lunedì 29 dicembre 2008

C'ERA UNA VOLTA IN VALLE SOANA...

DEDICATO A FRANCESCA...


C’era una volta, in Valle Soana, un posto molto particolare, unico nel suo genere, almeno per quelli come me che avevano e avrebbero ancora, necessità di un rifugio accogliente, protettivo e caldo dove fermarsi per un attimo a raccogliere le idee, scaricare le tensioni, leccarsi le ferite.
Chi lo frequentava lo faceva non per il gusto intenso del caffé piuttosto che per la bibita particolare, niente di ciò.
Annebbiarsi il cervello con l’alcool? Ma per carità!
Ho mai visto nessuno, uscire barcollando da là.; no, tutt’altro.
Chi ci andava abitualmente sapeva che lì avrebbe trovato qualcuno disposto ad ascoltare; ascoltare… semplicemente ascoltare quello che avevi da dire.
Poi, magari, fare il commento giusto, dare un consiglio appropriato
E per gente chiusa come i montanari di Ronco, Canavesani della Valle Soana (qui si trovava il posto) avere un punto di riferimento era tanto, tanto importante.
Lì riuscivano a tirare fuori quanto non avrebbero detto manco in famiglia: dalle incomprensioni con i genitori, alle problematiche di lavoro; la morosa che fa le bizze o le angosce della solitudine. La tristezza di un matrimonio che va in pezzi o la gioia di un regalo ricevuto, piuttosto della soddisfazione di un difficile esame superato.....e via così.
E sempre, sempre la buona Francesca trovava per tutti un po’ di tempo, tra un caffè e l’altro, tra un panino e l’altro. Da anni mandava avanti il suo bar, il Bar Soana; da anni ascoltava i ragazzi sempre trovava la parola giusta per dare nuovo spunto, o lenire le malinconie.
Quel locale, che non brillava certo di per la modernità dell’arredamento e che dimostrava tutti i suoi anni, aveva comunque un suo inspiegabile fascino: entrando non ti accorgevi del vecchio bancone consumato e scuro che strideva con la sfavillante luminaria del nuovo frigo-espositore dei gelati alla moda; non ti accorgevi delle sedie in metallo e formica "anni 60"; non ti importava che il bianco delle tendine alle finestre non fosse più quello di un tempo; là eri "a casa", eri al sicuro: là era il luogo dell’ "Armonia".
Ora quel posto non c’é più. Da agosto del 2005 è chiuso e per gli introversi montanari, è tristezza; passare davanti a quella porta che per noi che abbiamo trent’anni o giù di lì, ha sempre significato "pace", soprattutto con sé stessi, e vederla chiusa, fa venire un magone grosso, grosso.
Ogni tanto mi riguardo le foto scattate durante la festa di chiusura: gente che ride, amici che brindano; mi ricordano, quelle foto, l’antico rito del funerale egeo dove tutti festeggiano l’amico o il parente defunto.
Però ti accorgi, scorrendole, che man mano che la serata procedeva gli animi si intristivano: vedi e ricordi, le facce che pian piano non ridono più, i brindisi diventano più forzati, la torta difficile da mandare giù.
E poi la fine: la porta che viene chiusa, Davide, di spalle rivolto verso la porta mentre gira la chiave nella toppa per l’ultima volta… si volta verso di noi ultimi, incalliti, avventori incapaci di allontanarci e con gesto lento, solenne, sconsolato allarga le braccia come dire: "Fine"
Guardo abbastanza sovente quelle foto; Le guardo e ricordo perché sono d’accordo con le parole di Mauro Corona, uno scalatore, scrittore e scultore di Erto, paesino del Vajont, come me montanaro e come me attaccato ai propri ricordi: in un suo libro dice: "Ricordare fa bene; è un buon allenamento per resistere e tirare avanti".

Ingria, inverno 2008
L'Acchiappa Mosche.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

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L'Acchiappa Mosche.

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